[Ascolti] Kali Malone – The Sacrificial Code (iDEAL, 2019)

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Possente, viscerale, eterno: l’organo a canne ha umanizzato la prerogativa divina di plasmare il Tempo, scuotendo mente e corpo con i suoi tellurici bordoni. Statunitense di stanza nella Svezia di Anna von Hausswolff, già collaboratrice di Caterina Barbieri, Kali Malone si era confrontata con il Papa degli strumenti nella raccolta dell’anno scorso Organ Dirges 2016-2017, ma stavolta ha fatto le cose in grande: quasi due ore di musica, registrata su tre diversi organi, in tre diversi contesti (il Collegio Reale della Musica a Stoccolma, lo Studio Acusticum a Piteå, la chiesa di Haga a Göteborg). Laddove chiunque avrebbe esaltato la maestosa acustica delle location, la rigorosissima tastierista procede nella direzione opposta, azzerando qualsiasi riverbero con un intransigente close miking ed evitando di manipolare l’incisione ottenuta. Il suono che ne vien fuori è terso e astratto quanto materico, crepitante di scricchiolii lignei, con una grezza pastosità tra Jon Hassell e Colin Stetson e un portentoso effetto ipnotico.

Non c’è grandeur in queste pur impressionanti suite sul filo della trance younghiana, ma anzi francescana povertà, sintonizzata sulla voraginosa “fame” che abita l’ultima meraviglia di Maja S.K. Ratkje. I riferimenti possibili, guarda caso, muovono tutti per sottrazione: un Klaus Schulze senza oscillatori, un Tim Hecker senza glitch, uno Stephen O’Malley senza distorsioni, una Nico senza voce. Il rifiuto dell’enfasi è tanto ostentato da colorare una precisa cifra emotiva, velatamente malinconica, specie nei sontuosi 23 minuti finali di Glory Canon III, sorta di “Disintegration Loops” 2.0 registrati dal vivo insieme alla collega Ellen Arkbro: la colonna sonora ideale per passare all’altro mondo col sorriso, verrebbe da dire. Un flusso d’aria da apnea mistica, con un’unica licenza poco oltre la metà: un minuto di campane, lontane e disturbanti come un telefono in una fumeria d’oppio, rintoccanti nell’inserto di field recording Hagakyrka Bells.

Austero come una pagina di Thomas Bernhard, spoglio come un’inquadratura di Ingmar Bergman, desolato come una sequenza di Béla Tarr, The Sacrificial Code è un lavoro tutto dentro il nostro tempo, nonostante la materia prima antica: esaurite le celebrazioni collettive, la nuova musica sacra non può che rivolgersi alle più incommensurabili solitudini.

Tracklist 
1. Spectacle Of Ritual
2. Sacrificial Code
3. Rose Wreath Crown (For CW)
4. Sacer Profanare
5. Litanic Cloth Wrung
6. Fifth Worship II
7. Hagakyrka Bells
8. Prelude
9. Sacrificial Code
10. Glory Canon III

 

[lo trovi anche su Ondarock]

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