
Plans that I made for yesterday’s world/ Before I knew the truth/ Before I grew
“I never believe the lore”: partiamo da questa lapidaria affermazione per tentare un’inquadramento di 93696, un’ora e venti di musica su doppio vinile dorato. Che l’autrice mal tolleri le tradizioni lo sapevamo già: il Transcendental Black Metal Manifesto era in fondo la sua personalissima sfida al dogmatismo metallico. E che dire della sempre più sfacciata eterodossia teologica, portata avanti con interventi social in cui scaccia uno per uno i mercanti dal tempio? Simili posizioni possono però strutturare una malefica auto-tradizione, barricandosi in un formalismo che si limita a variare i propri cliché, per quanto originali essi siano.
Proseguendo nell’analisi dei testi, al solito non troppo trasparenti, ci imbattiamo in quest’altra confessione: “I could never endure a seance that didn’t observe my faith”. Seguono la rivendicazione di un successo (“We turned a terrible poem into a pre-critical tome”) e l’ammissione di una sconfitta (“I’m sorry I could never fully generate heaven”). Provo a interpretare: fedele solo al proprio titanismo, questa Doktor Faust in gonna ha davvero trasformato il black metal in qualcosa d’altro, che però potrebbe non corrispondere alla visione che l’ha folgorata sulla via di Damasco. Che mantenere la posizione, semmai lustrando i cannoni e potenziando i proiettili, sia l’unica mossa concessa in questa fase di riprogrammazione?
Eppure di deviazioni alla rotta ce ne sono eccome, dentro 93696: a partire dal formato extra-large (somministrato nei quattro atti “Emancipation”/ “Individuation”/ “Sovereignty”/ “Hierarchy”) e dallo stesso titolo, che sblocca l’afasia glossolalica attingendo al linguaggio binario. Si segnala poi una vena meno autarchica, tornando in seno alla Thrill Jockey dopo due album autoprodotti e convocando in console addirittura Steve Albini personaggio apparentemente lontano dalla tavolozza hendrixiana – ma attenzione, solo apparentemente: si veda l’allucinata rilettura a cappella di Prayer To God data in pasto nel 2012 alla serie “Undercover” di The A.V. Club.
Parliamo della musica. Anche qui, le novità non mancano: un tema ricorrente con più insistenza del solito, una maggiore concessione al vigore post-metal, un ricorso particolarmente intenso al pianoforte (sia acustico sia elettrico), un più deciso abbraccio del massimalismo di Glenn Branca come degli esperimenti microtonali. E poi il ponte alla Skinny Puppy di Djennaration, le voci bianche di Angel Of Sovereignty (che messe a confronto con l’ohm ferino che apriva Renihilation sembrano siglare la compiuta ascesa dantesca), gli accenti Cave-iani di Haelegen II, il quasi-grunge di Ananon, il quasi-shoegaze di Antigone II, il madrigale a dodici corde di Haelegen II (Reprise). Da non trascurare, infine, l’effetto-Albini, curiosamente più ravvisabile in alcune soluzioni ritmico-armoniche che nella produzione (il secondo segmento della chilometrica title track potrebbe essere un’outtake da At Action Park, seppur calata in una scenografia tra Suspiria e un vecchio peplum).
Qual’è il punto, allora? Spiace dover ricorrere ad argomentazioni così idiote per un’artista così intelligente, ma tant’è: se questo fosse stato il primo (ma anche il secondo o il terzo o il quarto) album dei Liturgy, avremmo senz’altro gridato al capolavoro. La questione è proprio quello che è successo in mezzo, quanto ha spinto oltre le frontiere di un intero genere (se non della musica contemporanea tutta) e la conseguente difficoltà a schiodarsi da un’inconfondibilità che si è fatta maniera rassicurante. Ostinarsi a calcare la firma reiterando codici abusati (specie nelle sventagliate glitch, che ormai generano più irritazione che sorpresa) finisce solo col confermare questa tesi, come anche il già sentito ausilio di strumenti extra-rock (dal marxophone di Angel Of Individuation agli onnipresenti archi e flauti) o mash-up stilistici (le amate infezioni trap).
C’è quindi da prendere 93696 come un riassunto e/o approfondimento delle puntate precedenti (le trame ipnotiche di Aesthethica, le falde inquinate di The Ark Work, la gestualità imponente di H.A.Q.Q., lo sviluppo programmatico di Origin Of The Alimonies), disseminando soprammobili fuori posto in un’autoreferenziale caccia al tesoro per fan? Ma ad affacciarsi è un esito ancor più paradossale: tra uno screaming mai così graffiante e il profluvio di parole desuete in liriche simili a formule magiche o antiche leggende, colme di una violenza a tratti anche puerile, questo potrebbe essere il disco più genuinamente metallico che il quartetto di Brooklyn abbia mai inciso. Dai manuali di storia musicale apprendiamo che ai romantici succedono i neoclassici, ma nel caso dei Liturgy questo sembra un effetto collaterale più che una scelta consapevole.
Autistico e divisivo come da tradizione degli album doppi, 93696 è una sbornia colossale che, se non altro, offre al neofita punti cardinali a sufficienza per scegliere se tuffarsi o meno in quel magmatico pozzo creativo chiamato Haela Ravenna Hunt-Hendrix.
Oh shadow of what never was/ But seems to have been/ And to have been lost… You’ve done your job
Tracklist
1 Daily Bread
2 Djennaration
3 Caela
4 Angel of Sovereignty
5 Haelegen II
6 Before I Knew the Truth
7 Angel of Hierarchy
8 Red Crown II
9 Angel of Emancipation
10 Ananon
11 93696
12 Haelegen II (Reprise)
13 Angel of Individuation
14 Antigone II
15 Immortal Life II
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