[Ascolti] Ibibio Sound Machine – Electricity (Merge, 2022)

Insomma, pace è fatta, da quanto mi sembra di capire. Intendiamoci: musica “bianca” e “nera” si stringono calorosamente la mano sin dagli albori del rhythm’n’blues, e a rinsaldare il matrimonio ci son stati prima la ditta Sly & George e poi la new wave più cosmopolita, per tacere delle collisioni crossover o delle screamadelie rave. Qua la questione è un’altra: mi pare che, alla buon ora, circuiti impassibili e carne sudata siano finalmente incollati assieme senza attriti di sorta.

Ok, direte voi: dove lo mettiamo il tandem Moroder-Summer? Non abbiamo già orecchiato da quelle parti l’amplesso tra sequencer indefessi e ansimi ammiccanti? E con l’Ebm, che si fa? Se già la sigla evoca manopole filtranti e muscoli in tensione, la pratica dovrebbe essere archiviata. Rispondo punto su punto. Nel primo caso parliamo di elettrofoni + sensualità (afroamericana), mentre qui di electrofoni + vitalità (africana); nel secondo, i corpi in movimento sono sì pilotati da remoto, ma inequivocabilmente bianchi e maschili.

Lo scarto in avanti degli Ibibio Sound Machine consiste nel tenere insieme un gelo inamidato che manco John Foxx e un’afro-esuberanza che manco Fela Kuti. Il trucco? Giustapporli senza pretendere di miscelarli (e quindi annacquarli). Voilà, la magia: il boccone suona inedito non perché siano inauditi gli ingredienti che lo compongono o la volontà di abbinarli, ma per la disinvoltura nell’affiancarli in due metà distinte del piatto, come un contorno dolce con un secondo salato. Tutto sta nel disattendere le aspettative: parte un synth massiccio come un iceberg e uno prevede un volto emaciato e un taglio di capelli geometrico, e invece salta fuori una gorgone foderata di gioielli che danza estatica. Dandy-tribalismo, magnifico!

Che io sappia, la formula non ha precedenti, quantomeno non in questa declinazione. Nemmeno nella discografia precedente del gruppo, più affiliata a un electro-funk marezzato di ironia vintage, sulle orme gommate di William Onyeabor. Gli Ibibio Sound Machine hanno finalmente il coraggio di porsi in un’ottica glocal, esibendo la propria vocazione per gli sconfinamenti dietro un passaporto europeo. E tanto per non sbagliare convocano dietro la console i concittadini Hot Chip, che stemperano la centrifuga con un tocco di ammorbidente indie-dance. Forte di una personalità alla Erykah Badu e un look alla Grace Jones, Eno Williams dirige il cantiere senza bisogno di caschi protettivi.

Ecco allora che l’elettricità del titolo è quella che alimenta le macchine quanto gli arti, e i liquami corporei non rischiano di innescare cortocircuiti. Non a caso si parla di “sound machine” anziché “sound system”, come a dire Kraftwerk > Dj Kool Herc (e forse tirando in causa addirittura l’intonarumori di russoliana memoria). All’occorrenza, poi, la bilancia può pendere senza patemi da una parte (il post-punk byrniano di 17 18 19, la pulsione/pulsazione industriale di Truth No Lie) o dall’altra (la spiritualità afropop stile Real World di Afo Ken Doko Mien, la house d’annata di Wanna See Your Face Again).

Le Corbusier ammoniva che la vera arte dovrebbe non invocare, ma evitare la rivoluzione, nel senso che per spogliare il mondo dai conflitti bisogna innanzitutto renderlo degno di essere abitato. Gli Ibibio Sound Machine, a occhio e croce, sono discepoli di questa nobile dottrina. Quanto avremmo tutti da imparare da loro.

Tracklist
1. Protection From Evil
2. Electricity
3. Casio (Yak Nda Nda)
4. Afo Ken Doko Mien
5. All That You Want
6. Wanna See Your Face Again
7. 17 18 19
8. Truth No Lie
9. Oyoyo
10. Something We’ll Remember
11. Almost Flying
12. Freedom

[lo trovi anche su Ondarock]

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