[Visioni] Pittori senza tavolozza: una riflessione su The Irishman

locandina

Non si ridipinge una casa per niente. Il cinema gangster ci ha abituati a un’esasperazione delle “tre S” narratologiche: motivazioni viscerali che portano a gesti ignobili giustificati da ricompense ghiotte. Quantomeno, prima che un bellimbusto d’irlandese mandasse in crisi l’ultimo paradigma sopravvissuto al più postmodernizzato dei generi.

Cosa cerca Frank Sheeran? In tre ore e mezzo di film non se ne viene a capo: mai un mazzo di banconote conteggiato, un capezzolo strizzato, una sostanza psicotropa a scuotere quella tragica apatia. L’irlandese volante plana in perenne trance sulle storie e sulla Storia, privo di un obiettivo che esuli dal lavoretto di turno. La stessa modalità con cui sprofonda nel sottobosco malavitoso è anomala, come se lo facesse senza pensarci troppo né potesse fare altrimenti. Il James Taylor di Strada A Doppia Corsia, in confronto, è un tipo risoluto. A muovere questo scabro antieroe pare essere solo la cieca fedeltà a un boss che diventa padre adottivo e, in second’ordine, a un sindacalista che “sembra il generale Patton”. Basta l’obbedienza assimilata in caserma a giustificare una simile rassegnazione, o dobbiamo scomodare il determinismo cattolicheggiante tanto caro al cinema italoamericano (un nome su tutti: Abel Ferrara)?

Anche vero che non parliamo di un mafioso in doppiopetto, ma di un sicario: una macchina per uccidere fabbricata per strada e temprata in guerra, poco coinvolto dai gingilli edonistici che accompagnano la scalata del potere. Un professionista implacabile, eppure tutt’altro che gelido: quante esitazioni, prima di freddare il suo migliore amico (altro grande tabù spezzato, quello dell’amicizia virile inviolabile); quanti rimorsi dopo, davanti alla bara verde acqua; e quanto sincero dolore, per una figlia più spietata di lui nel negargli la parola. Cose che non tornano: non le uniche, in questo imperfetto e inattaccabile film-fiume.

Per rendere più straniante la marcia verso e attraverso il nulla, Scorsese architetta un’ulteriore apostasia stilistica: nessun tratto riconoscibile (un’insegna, un capo d’abbigliamento, una canzone) a marcare il susseguirsi dei decenni, che fluiscono indistinti e insensati come l’esistenza del protagonista. Sheeran non sa perché ha vissuto ma, una volta venuti meno i suoi mandanti, sa quando lasciarsi morire, in una maniera che più dimessa non si potrebbe.

“Sono tutti morti. E’ finita, se ne sono andati. Chi vuole proteggere?”, chiede il federale al Nostro in una delle ultime scene. Non lo sa nemmeno lui, e davvero non sapremmo cosa suggerirgli. Un silenzio solenne, che accompagna l’uscita di scena di un intero modo di intendere il cinema.

[lo trovi anche su Ondacinema]

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