Non ce ne liberemo tanto presto, del post-post-punk. Nel bene e nel male. Il wave-revival, ormai in esaurimento ma ancora capace di colpi di coda (vedasi il gagliardo funk bianco à-la A Certain Ratio sfoderato dagli ultimi Parquet Courts, o l’energia proletaria formato-chorus degli Shame) ha senz’altro avuto il merito di riportare la “musica con le chitarre” sotto i riflettori, ma lo ha fatto cavalcando gli aspetti più facili dello sconfinato e contraddittorio non-movimento: pose darkeggianti, ammiccamenti synth-pop, chitarrine pulite di scuola Orange Juice/Josef K, sperimentalismi senz’anima che non hanno lasciato traccia. Pochi sono riusciti ad appellarsi allo spirito più intrigante di quella stagione, la generazione dei “punk alla scuola d’arte”: intellettuali ma diretti, capaci di compendiare un solido impianto teorico in formati freschi e immediati, senza pedanteria alcuna.
Al secondo album dei Lithics va quantomeno dato atto di essersi scelto i numi tutelari giusti: se la copertina occhieggia in maniera fin troppo palese ai Wire (e forse, più alla lontana, ai Pink Military), la musica insegue quelle linee rigide e spezzate attorcigliandosi in uno spigoloso gomitolo elettrico, tagliente come le pietre scheggiate evocate dal loro secco nome. Nevrotici come i Feelies, sferraglianti come i Fall, affilati come i Gang Of Four, con una voce femminile alienata (ma a suo modo sfrontata) che rimanda a Slits e Bush Tetras, la loro è una No wave ossessiva ma solare, poco urbana, poco nera, molto motorik, ideale per un festival all’aperto. I DNA in rewind di When Will I Die, l’inno paranoico di Boyce (quasi dei Mission Of Burma che rileggono Skank Bloc Bologna) e il finale a trapano sguainato stile MX-80 Sound di Dancing Guy sono fotografie mosse della loro teatralità dinamica ma non isterica, così ossuta e derelitta da far cadere qualsiasi sospetto di artificiosità. E’ un sophomore ma sembra un esordio: valutate voi se sia un pregio o un difetto.
Passaporto (Portland) e referenze (Kill Rock Stars) potrebbero tentare accostamenti con le Sleater-Kinney, ma un paragone più azzeccato dallo stesso roster sarebbero le Erase Errata. Senz’altro derivativi, ma con grinta e sagacia: non è poco, vista la concorrenza.
Tracklist
1. Excuse Generator
2. Still Forms
3. When Will I Die
4. Specs
5. Boyce
6. Glass Of Water
7. Be Nice Alone
8. Flat Rock
9. Edible Door
10. Home
11. Cheryl
12. Dancing Guy
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