[Ascolti] KOKOKO! – Liboso (Transgressive, 2018)

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Dilaga come una febbre tropicale il mal d’Africa, in questi anni sempre più tassativamente black-oriented. Antibalas, Heliocentrics, United Vibrations, Sons Of Kemet, tanto per scomodare i più vistosi: che sia afrobeat, Ethio-jazz o qualche altra ibridazione Primo-Terzo Mondo, i colonizzatori guardano con ossessione crescente ai ritmi degli ex(?)-sottoposti (musiche, peraltro, assai più Occidente-centriche di quanto si creda, se è vero che la matrice funkeggiante domina su quella tribale). Rielaborazioni fresche e accattivanti, ma che il più delle volte non si discostano granché dai modelli originali, inseguendo l’utopia modaiola dell’arte emica, quella un po’ ipocritamente “dal punto di vista degli oppressi”, che dovrebbe risarcire loro del maltolto e sgravare noi dalla “colpa di essere bianchi”, come cantavano quei benestanti viziati dei Minor Threat.

Date queste premesse, è curioso notare come la nuova avanguardia africana paia infischiarsene di essere la caricatura vivente di un’identità etero-attribuita, preferendo avventarsi sulle musiche che esportiamo noi e scomporle a proprio piacimento, con un coraggio precluso alla nostra pidocchiosa etno-entomologia. Clamorosi, in questo senso, i congolesi KOKOKO! (onomatopea del bussare sulla testa di un addormentato, quasi un aggiornamento del Keep On Knocking degli indimenticati Death): scoperti nei bassifondi di Kinshasa dal producer francese débruit (già, nell’epoca della disintermediazione c’è ancora bisogno della spintarella dell’uomo bianco…), questi teppisti in divisa da operai à-la Devo ragionano a modo loro di lo-fi fabbricando con materiali di recupero i loro bizzarri strumenti, tradizione tra le più nobili (Harry Partch, Moondog, Robert Rutman, Z’EV, fino al secondo Tom Waits) corretta in chiave terzomondista, elogio del riciclo ingegnoso contro l’aggressività dell’usa-e-getta, alla maniera dei “congotronici” concittadini Konono N°1.

Ne vien fuori un eccitante post-electro-world-funk dai molteplici rimandi (23 Skidoo, Liquid Liquid, ESG, ma anche un ipotetico cyber-Santana da bidonville putrefatta, magari remixato da James Holden), sbilenco come una foto di Miroslav Tichy o una composizione di Lonnie Holley, “brutto e cattivo” nell’ostentata povertà delle materie prime (anche nell’uso dell’elettronica, a base di campionamenti sgraziati e timbri da due lire) ma finissimo nei suoi arguti détournement primitivisti. Dopo due mini-Ep di due brani ciascuno e un tour europeo da tutto esaurito, i cinque episodi di Liboso segnano l’approdo nella scuderia della britannica Transgressive (Foals, SOPHIE, Cosmo Sheldrake, tra gli altri). Il titolo potremmo tradurlo con “oltre” e la musica, sfuggente e avventurosa, non delude le premesse.

Si comincia con i Dead Can Dance filamentosi della strumentale Blvd Lumumba (la strada che porta a Kinshasa, perfetta introduzione al loro mondo geo-musicale), subito incalzata dallo scatenato kuduro di Azo Toke che, con un pizzico di promozione in più e qualche interferenza in meno, avrebbe fatto ballare mezzo mondo.
Se Affaire A Mbongo (che sta per “problemi di soldi”) è la loro I Zimbra, l’ipnotica L.O.V.E. è un saggio di artigianalità liofilizzata (l’organico, ci informano, è composto da alcune lattine di pomodori, un’autoradio, una chitarra a due corde e un dito che picchietta sopra un cavo, con un featuring della connazionale Rachel Nyangombe ad addolcire il tutto), sposando una fumosità dub che fa tanto Mark Stewart. Chiude in bellezza Longola Ye Kupe per la quale, tra tentazioni worldbeat un po’ Gang Gang Dance e una coda in stile Orbital, non sarebbe inappropriato parlare di “gnawa-techno”.

In attesa del debutto sulla lunga distanza, previsto per l’estate prossima, Liboso è un folgorante inno alla fantasia in assenza di mezzi che, una volta di più, prova la veridicità dell’assunto dei Dirtmusic: “the world is getting smaller”.

Tracklist
1. Blvd Lumumba
2. Azo Toke
3. Affaire A Mbongo
4. L.O.V.E.
5. Longola Ye Kupe


[lo trovi anche su Ondarock]

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