Mi sono sempre chiesto fino a che punto il Divin Marchese abbia messo in conto di divenire una figura tra le più studiate e citate della storia letteraria, filosofica e artistica dell’Occidente. Che quelle pagine straziate traboccassero di anelito rivoluzionario e volontà di scioccare non v’è dubbio alcuno, ma poteva l’autore prevedere di essere preso tanto sul serio, e da menti tanto eccelse? Krafft-Ebing, Swinburne, Apollinaire, Bataille, Adorno/Horkheimer, Foucault, Deleuze, Lacan, Blanchot, Klossowski, Vaneigem, Weiss, Buñuel, Pasolini: la lista di giganti che si sono confrontati con il suo conturbante profilo criminale potrebbe riempire un elenco telefonico, con buona pace di chi si ostina a liquidarlo come sfornatore di feuilleton a tinte forti. A conti fatti, solo la Santissima Trinità Marx-Freud-Nietzsche può vantare un esercito di commentatori così eclettico, agguerrito e di alto profilo intellettuale.
Come per tutti i personaggi autenticamente di rottura, meglio ancora se “proibiti”, la musica più o meno rock se ne è cibata a volontà, in particolare quella di area industrial: vedasi, a riguardo, la ben nota ossessione sadiana di William Bennett dei Whitehouse, o l’esplicito Boudoir Philosophy che i nostrani Sigillum S dedicarono ad una delle sue opere più famigerate. Eccettuato quest’ultimo caso, tuttavia, è sinora mancato un tributo dichiarato, come se la materia fosse troppo vivida per essere confinata tra i solchi. E chi meglio di Lydia Lunch poteva colmare questa lacuna, dato il depravato noviziato nelle pellicole di Richard Kern e una carriera non-musicale anche più libertina?
Con il ghigno sulfureo di un Vincent Price che ha appena bevuto una tazzina di catrame incendiato, eccola quindi sciorinare i suoi rantoli sgraziati su uno spettrale brodo di glutammato elettronico, ora costeggiando un dark-ambient Lustmord-iano, ora abbracciando certo vintage sintetico à-la Wendy Carlos, premurandosi di arrotare ogni consonante con la spietata intensità del carnefice senza rimorsi. L’attacco di questa mostra delle atrocità è tanto gutturale da far impallidire il Tom Waits di The Black Rider, il resto una mezz’ora di ordinaria amministrazione spoken word.
Quinta sortita della torturatrice newyorchese per la Rustblade di Stefano Rossello (Morricone, Claudio Simonetti, Angelo Badalamenti, Coil, Young Gods, Legendary Pink Dots tra i clienti dell’egregia label veneta), anche coautore/esecutore del permafrost di sottofondo, mixato e masterizzato da Justin Bennett degli Skinny Puppy. Quanto al caro DAF, ne siamo certi, avrebbe gradito.
Tracklist
1. Cruelty
2. Voluptuous Machines
3. Poor Pathetic Creatures
4. Polyphony
5. Nature Herself
6. Defiant Existance
7. Encyclopedia Of Disaster
8. Cursed Folly
9. Predator
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