Anni fa un amico mi chiese di scrivere “qualcosa sul cyberpunk” per contribuire al lancio di un suo blog. Anziché mettermi in cattedra e snocciolare la solita lezioncina di storia controculturale che tutti già conoscono, preferii vomitare qualcosa DI cyberpunk: un vischioso bolo di parole cortocircuitate, stilisticamente prossimo al genere in esame e ben infarcito di citazioni letterario-cinematografico-musicali che i più preparati non faticheranno a scorgere…
che colore ha
una televisione sintonizzata
su un canale morto?
quello dello skyline di Hong Kong appena coventrizzata da un fiume fluorescente di napalm a 1300° quello di un incrocio stradale che vomita magmatici fiotti di lamiere cozzanti all’ombra di ciminiere di cui non si scorge la cima quello dello sfrigolio di una padella di krill andato a male sui fornelli di un venditore ambulante con i lineamenti contraffatti quello di un oceano di petrolio increspato dai singulti di creature mutanti in asfissia quello dei graffiti osceni registrati dal visore malandato di un cyborg in overdose che si massacra di convulsioni sull’asfalto dove ha appena pisciato quello dei granelli di zucchero geneticamente modificato che incrostano il bancone di un night club dalle pareti cangianti incuneato nella foresta di neon di una metropoli galleggiante in qualche punto del Pacifico quello di una tempesta di interferenze pornografiche che rimodella le sinapsi carbonizzate di un otaku sorridente scaraventato nelle voragini di uno sprawl contaminato da un morbo postatomico quello del profumo di liquami industriali assaporato dagli occhi sfondati di un vagabondo con la memoria resettata e un chilo di catrame nei polmoni quello del silicio sciolto nello sperma rancido di un giocatore d’azzardo dissolto in un orgasmo di anfetamine quello di un laser che scava la coscienza assottigliata di un hacker inguaribilmente romantico quello di un ologramma inceppato che manda in paranoia un piccolo spacciatore in rovina dentro una sala giochi gestita da un travestito con un orecchio bionico quello del tatuaggio a forma di sirena sul collo di un algido uomo d’affari giapponese in viaggio su una metropolitana supersonica a notte fonda quello del retrogusto di trementina dell’acqua di rubinetto del monolocale a soqquadro di un presunto suicida che verrà ritrovato solo molti mesi dopo dagli apatici sbirri di una provincia americana alla deriva quello degli asettici ventilatori di una base militare sepolta sotto una montagna artificiale quello del lacerato sfregare delle protesi arrugginite di due marinai avvinghiati nella loro ultima distaccata notte d’amore quello dei sensori debolmente pulsanti della porta scardinata di un deposito abbandonato di pezzi di ricambio per chissà cosa saccheggiati da rassegnati accattoni deformi quello di un altoparlante gracchiante che irrora di distorta musica ambientale un’atmosfera troppo macilenta per poter veicolare qualche suono in cui però c’è ancora chi si ostina a urlare a squarciagola nella speranza che sia rimasto un suo simile in ascolto all’altro capo di un filo mai esistito in qualche angolo sperduto di tanta sterilizzata mostruosità con metà del corpo già tramutata in acciaio & circuiti quello di un’orda di evasi da un manicomio criminale che prende d’assalto un centro commerciale strangolando i passanti con le flebo recise quello del grumo di carne infetta che colonizza l’auricolare che pompa i Throbbing Gristle nel cervello putrefatto di un punkettone asessuato quello della fotografia di Tetsuo slavata dal riversamento in VHS tra gli scaffali di una videoteca in cui non va più nessuno quello di Stonehenge durante un solstizio lisergico triste come il cigolio di un monoscopio quello di un sequencer collegato alle tempie livide di una ragazzina con i denti smaltati di viola quello di una spiaggia di pastosa rena color amianto sorvolata dai sogni disperati di un catatonico in coma farmacologico in una clinica evacuata quello dello spettrale understatement con cui una giornalista con i capelli di alluminio comunica al genere umano che sono state rassegnate le dimissioni della civiltà post-industriale quello di un paio di occhiali a specchio profondi come il margine del cyberspazio prima della missione della tua vita nei sotterranei di un ordine mondiale di cui ormai non te ne frega più un cazzo
tanto hai già capito
che alla fine
lei
non la rivedrai mai più
[lo trovi anche qua]
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