La scorsa primavera, con gli Xayra ormai dissolti ma ancora un filo di determinazione nel voler valorizzare quell’esperienza, mi fu proposta un’intervista via mail da una webzine che non menzionerò. Per qualche ragione che non ho voluto indagare, la suddetta non è mai stata pubblicata, e mi piace pensare che si sia trattato di un’imperscrutabile forma di censura ai danni della mia ex-band: grama consolazione, ma vuoi mettere il palpitante carisma del prigioniero politico…
Dove è nata la tua musica? A cosa o chi si è ispirata?
E’ nata come rielaborazione artistica di un’esperienza traumatica. Il desiderio era quello di esorcizzare un periodo davvero brutto che ho passato, in una forma efficace ma curata, in cui il bisogno di sfogarmi andasse di pari passo con la qualità della realizzazione. Io e gli altri abbiamo cambiato più volte idea riguardo all’impostazione da dare al lavoro (inizialmente pensato come un’opera molto più estrema, musicalmente parlando), prima di approdare all’eclettica sintesi di sonorità che si è rivelata l’alchimia più funzionale (per l’espressione) e godibile (per la fruizione).
C’è una canzone che racconta di te o deve essere ancora scritta?
Tutto il disco racconta di me, dall’attacco del primo pezzo alla coda dell’ultimo, ma penso che quasi chiunque possa rispecchiarsi in ciò che racconto. Tuttavia il disco può essere apprezzato anche ignorando il contenuto dei testi: il nostro obiettivo primario è stato costruire qualcosa di musicalmente valido e accattivante. L’universalità della proposta è una cosa che abbiamo molto a cuore: scrivere materiale che possa essere recepito a qualsiasi latitudine (uno dei tanti motivi per cui cantiamo in inglese) e resistere al fluire turbinoso delle mode. Quando parliamo di “Large Important Rock” ci riferiamo proprio a questo, ed è innegabile la volontà di prendere le distanze dall’asfittico provincialismo che troppo spesso soffoca l’arte made in Italy, soprattutto in ambiti sedicenti “indipendenti”.
Che rapporto hai con il web e cosa pensi della musica in rete?
Non starò certo qui a blaterare le solite ovvietà su quanto la rete sia al contempo una risorsa & una gabbia, un progresso & un’involuzione, and so on… Come quasi tutte le persone della mia generazione ho un rapporto piuttosto simbiotico con la tecnologia, ma ne riconosco anche limiti e danni.
E’ innegabile che il web abbia facilitato enormemente la diffusione della musica, grazie alla semplicità di utilizzo e ai costi quasi azzerati sia in fase realizzativa che nel successivo accesso universale, per non parlare poi di quanto sia diventato comodo costruirsi una cultura musicale, avendo pressoché tutto a portata di mano e già organizzato su degli appositi scaffali virtuali; l’effetto collaterale è stato però una spaventosa saturazione del panorama (stavo per scrivere del mercato), a livelli già insostenibili. Dall’altra parte della barricata ci sono strutture di divulgazione (siti di streaming e download), selezione (webzine) e discussione (social network) che anziché accettare la sfida del contemporaneo si limitano a mutuare i preistorici meccanismi dell’industria culturale, in maniera sempre più pateticamente inattuale, creando un cortocircuito. In questo caos scriteriato chiunque si sente in diritto di concretizzare la prima idea che gli passa per la testa e di darla compulsivamente in pasto alla collettività: è come se non esistessero più l’amatorialità e il dilettantismo pre-carriera, tutto diventa subito “serio” e “ufficiale”. Più che il riuscire ad emergere, il problema è la possibilità stessa di essere notati nella mischia, figuriamoci di monetizzare la propria posizione (in uno scenario così prossimo al collasso è ormai inverosimile anche solo il non andare in perdita, sebbene la dimensione gratuita dell’offerta debba senz’altro rimanere una priorità etica).
L’unico antidoto a questa plausibile catastrofe (che sta bene a molti e può star bene anche a me, essendo l’anonimato intrinsecamente rassicurante, per quanto non soddisfacente) è l’autocritica individuale, una forma edulcorata di quella che un tempo sarebbe stata definita coscienza: bisognerebbe realizzare quanto ciascuno di noi può nuocere in un quadro così affollato e “scendere in campo” solo quando si ha tra le mani qualcosa di realmente potente e necessario, non solo per approfittare di una possibilità offerta o per l’egoistico gusto di farlo. Io sono stato anni senza suonare, ho dissotterrato l’ascia solo quando sono stato sicuro di avere qualcosa di urgente da dire, e di poterlo fare in maniera interessante.
Insomma, a conti fatti i contro sembrerebbero sopravanzare abbondantemente i pro. Tuttavia, questo orizzonte possiede un suo fascino nichilista: una realtà totalmente anarchica, frammentata a livello atomico, è senza dubbio un terreno stimolante, se non altro più inafferrabile e meno permeabile a speculazioni, soprattutto non vincolata dall’eterno ricatto del successo commerciale. Un mondo in cui ognuno è autore, esecutore, proprietario ed esercente (anche se a titolo principalmente gratuito) della propria musica, è potenzialmente un mondo più libero e democratico: siamo minuscoli e invisibili, ma lo siamo tutti, quindi in teoria la concorrenza è leale. Va anche detto che, se è vero che la maggior parte delle persone desidera mettersi in mostra per essere notata, questa invalicabile carenza di visibilità potrebbe risultare un efficace deterrente alla febbre di realizzazione/condivisione e portare molti a rinunciare ad esporsi, creando sul lungo periodo un salutare sgonfiamento della sacca, che tornerebbe poi a ingrossarsi a e di nuovo a rilasciarsi, in un ciclo osmotico che, in ultima analisi, impedirebbe il collasso del sistema.
A ridimensionare queste illusioni è però, anche qui, una constatazione spietata: è evidente che la possibilità di acquistare spazi di visibilità (un tempo potevano essere i passaggi in radio o la pubblicità sulle riviste, adesso magari sono i domini dei siti o le inserzioni a pagamento sui social) rimarrà un fattore determinante anche nel “democratico” web. Maggiori le disponibilità economiche (e perché no, le “conoscenze influenti”), maggiori le possibilità di emergere. Chi è potente nel mondo reale lo sarà anche in quello virtuale (e anche più di prima), chi invece non lo è mai stato rimarrà presumibilmente tale. Ho insomma l’impressione che la rete, lungi dall’aprire nuove reali opportunità, bene che vada si limiti a confermare con zelo lo status quo: una grande occasione mancata. E non parlatemi di libero mercato, perché questa è pura e semplice legge della giungla.
Quanto a me, lo stare nell’ombra non mi turba affatto, anzi mi ci trovo a mio agio. La maggior parte delle persone però sembra più interessata a lamentarsi, senza nemmeno ipotizzare delle possibili soluzioni…
Cosa pensi della musica di oggi e tu dove ti collochi?
Trovo che parlare di “musica di oggi” abbia poco senso, data la sterminata moltitudine di scene organiche e di altrettanti mine vaganti, in un mosaico talmente vasto da renderne ardua un’esatta mappatura.
Dovendomi per forza collocare, penso che mi scaraventerai in qualche angolo in cui possa ancora essere lecita una terza via tra la sperimentazione e la comunicazione, la complessità e l’immediatezza, il rumore e la melodia.
Questa improbabile campana di vetro del sempre a sproposito invocato indie rock è ormai un ecosistema a se stante dentro alla biosfera del mainstream (di cui in realtà, a ben vedere, non fa altro che riprodurre in piccolo gli stessi meccanismi deleteri, se possibile peggiorandoli) in cui, pur col portafoglio sgonfio, si può relativamente prosperare sfamando la propria autistica nicchia. O forse solo il proprio ego…
Quale sarebbe lo scenario, il luogo ideale per fare conoscere la tua musica?
Le ispirazioni degli Xayra provengono quasi esclusivamente dagli Stati Uniti in generale e dal Midwest in particolare, quindi se dovessi dipingermi da qualche parte di sicuro mi immagino in quei dintorni. Certo, il periodo a cui ci riferiamo (a cavallo tra fine’80 e inizio’90) ormai ha quasi esaurito il suo ciclo vitale, e lì comunque avremmo una concorrenza fin troppo agguerrita a scoraggiarci… Alla fin fine è il solito discorso: conviene rimanere a casa propria con la possibilità di ritagliarsi una posizione in un ambiente incongruente o inseguire i propri sogni rischiando di venire sepolti da gente troppo più brava e motivata?
A cosa stai lavorando? Cosa c’è nel futuro della tua musica?
Bella domanda… Gli Xayra al momento sono in stallo forzato, dato che il batterista sta studiando all’estero e l’altro chitarrista lavora fuori Roma. Il gruppo è nato fondamentalmente per realizzare il disco e lo scopo è stato portato a termine, di continuare non se ne è mai parlato con troppa determinazione. Io al momento tengo in vita il progetto con delle sporadiche date solitarie e continuo a scrivere materiale in quello stile, ma collaboro anche con altre band e ho ambizioni di varia natura, quindi ora come ora non so dire che fine faremo…
Spero senz’altro che ricapiti di fare qualcosa insieme agli altri, che oltre ad essere cari amici rimangono tra i musicisti più talentuosi con cui abbia mai lavorato.
Non tutti ci hanno rifiutato: gli Xayra intervistati da The Freak